lunedì 15 aprile 2019

L'ULTIMA FAMIGLIA FELICE di Simone Giorgi




La famiglia Stella vuole essere uno specchio dei tempi, di una realtà fatta di rapporti difficili, insicurezze e forti egoismi, di un essere genitori in un'epoca che ha perso i punti di riferimento e cerca a tentoni nuove certezze e nuovi valori su cui costruire, con cui reinventare i ruoli.
Non c'è originalità in questo mettersi in gioco, ma semplicemente una banale inversione di ruoli: Anna recita la parte del padre tutto lavoro, carriera e gratificazioni extraconiugali, del coniuge che delega al consorte l'educazione dei figli limitandosi a farsi carico del benessere economico della famiglia, mentre Matteo è il prototipo (anche un po' scontato) della mamma che si destreggia tra lavoro e cura della casa e dei figli, che si illude di riuscire a risolvere qualunque problema davanti a una tavola imbandita, che spera di blandire spiriti irrequieti con invitanti fette di ciambellone (ci mancava solo che passasse i pomeriggi a guardare le soap e il quadro sarebbe stato perfetto!): insomma un mammo che accumula frustrazione e rancore verso quei familiari ingrati, che non riescono a vedere quanto sia faticoso il suo essere mite, disponibile, comprensivo...
Ma soprattutto Matteo è un personaggio irritante per questa sua volontà di neutralità, nel suo non prendere mai una posizione netta, nel suo accettare acriticamente e giustificare ogni cosa (dal divieto di ingresso nella cameretta imposto da Stefano, al tradimento della moglie), nel suo essere, in fondo, un'ameba con la presunzione di essere il migliore dei padri, anzi il migliore uomo sulla terra!
Eh già, perché gli altri personaggi hanno principalmente connotati negativi: quelli di sesso femminile sono arrivisti e concentrati solo su se stessi (Anna), sicuri di sè e senza cedimenti, ma anche fortemente egoisti (Eleonora), invidiosi e acidi (le dipendenti di Anna), mentre quelli di sesso maschile sono gretti, autoritari e volgari (l'allenatore di Stefano), arrivisti e falsi (Piero), insicuri e bulli (i compagni di scuola di Stefano e il Canaglia), maschilisti e retrogradi (il vetraio): solo Matteo è premuroso, disponibile, attento, scrupoloso, educato, rispettoso, ma incompreso (non sarà colpa di quell'aureola troppo stretta?)
Del resto anche la narrazione non mi ha entusiasmata, con l'uso di un narratore onnisciente che troppo spesso e con troppa leggerezza cambia punto di vista da un personaggio all'altro, spiazzando il lettore costretto a rileggere per orientarsi tra i vari pensieri dei singoli soggetti.


lunedì 8 aprile 2019

I ROMAGNOLI AMMAZZANO AL MERCOLEDÌ di Davide Bacchilega




Qual'è il giorno della settimana migliore per uccidere una persona?

"Il momento giusto per ammazzare una persona è quando si trova in mezzo alla gente. Molta gente. Una folla. Perché nella folla nessuno si accorge mai di nulla, tutti impegnati come sono a evitarsi l’un l’altro […]"

Il mercoledì a Lugo, vicino a Ravenna, è giorno di mercato, quindi è il momento migliore per colpire.
" Qual è il momento giusto per ammazzare una persona? ... Quando siete soli. Certo. Nessuno nei paraggi. Né un arbitro né un pubblico. Nemmeno Dio. Solamente tu e lui. A sbrigare i vostri conti. Chiudere i sospesi."
Questo vale se la vittima si trova a Milano Marittima, dal momento che il lunedì vanno al mare i parrucchieri, il martedì ci vanno i ristoratori, il giovedì i negozianti, il venerdì chi stacca prima dal lavoro, per non parlare della folla del week end: il mercoledì giorno in cui la gente non va al mare, è perfetto per menare il colpo mortale.

Una storia scandita dai giorni di una settimana in cui quattro trentanovenni alla ricerca di una svolta nelle loro esistenze, persi nei ricordi o trascinati dalla routine quotidiana, cercano una via di fuga, un riscatto, una vendetta che smuova il loro immobilismo interiore.
Un gioco di truffe comminate e subite, un intreccio vivace, una settimana piena di eventi, ma che in fondo non riesce a scuotere i quattro protagonisti dalla loro stasi psicologica.
E gli omicidi?
Vittime e carnefici interpreteranno fino in fondo il proprio ruolo?
Il mercoledì sarà realmente il giorno del sangue?
Il giovedì, con i superstiti, l'ardua sentenza!

La trama del libro è intrigante, la teoria settimanale dell'omicidio una trovata interessante, il tema della crisi che si affaccia allo scoccare dei 40 anni è trito e ritrito, ma si presta a interpretazioni divertenti: tutti elementi che, a mio parere, vanno sprecati nel corso del racconto.
I personaggi non lasciano il segno, sono inconsistenti, quasi trasparenti, tanto che si può immaginarli solo alla luce degli stereotipi di genere.
I protagonisti parlano in prima persona, con punto di vista che cambia in maniera repentina e destabilizzante, tanto da confondere il lettore.
Frequenti sono, poi, le intrusioni dell'autore, di cui si avverte la fastidiosa presenza.
Infine, la storia progredisce con lentezza verso un finale precipitoso e risolto grazie a coincidenze piuttosto improbabili e un deus ex machina degno delle migliori tragedie euripidee.

MAGGIOR PREGIO: il personaggio di Ermes Donati, biscazziere e faccendiere scaltro, la cui dubbia moralità ha saldi principi che affondano le radici negli affetti della famiglia. Uomo dal linguaggio semplice e diretto, farcito di elementi dialettali, è forse il carattere che resta maggiormente impresso, anche per il contrasto tra la durezza dell'uomo di malaffare e il buon cuore di colui che si prende cura del suo Jack Russel e della nipote le cui tendenze sessuali proprio non riesce a capire.

PEGGIOR DIFETTO: le citazioni cinematografiche: tutta la storia è infarcita di citazioni musicali e cinematografiche che, sicuramente, rivelano la passione dello scrittore per il mondo di celluloide (anche se non certo per il cinema d'autore), ma che finiscono per essere stucchevoli.
In totale ne ho contate più di trenta: va bene che la passione di Donati siano i film di 007 e che la sua bisca sia tappezzata dalle locandine di tali pellicole ma non è il caso di ripetere tante volte e con le stesse parole la loro descrizione nel giro di poche pagine!

lunedì 1 aprile 2019

L'OSCURA ALLEGREZZA di Manuela Diliberto



L’OSCURA ALLEGREZZA o il trionfo dell’ossimoro.

Fin dal titolo questo romanzo ostenta contraddizioni: Giorgio Kreifenberg, un giovane e ricco borghese, di professione giornalista, assiduo frequentatore della piccola nobiltà romana e amante della bella vita (a scapito della devota fidanzata Maria Stefania) è convinto di essere un socialista.
Bianca D’Ambrosio, femminista militante e giornalista, donna risoluta e non incline al compromesso, vacilla al percepire la sua vita consumarsi a ogni respiro.
Il loro incontro, sullo sfondo della Storia che consegnerà l’Italia alla guerra italo-turca, porterà a un ulteriore ossimoro, un ricercarsi fuggendo dall’epilogo melodrammatico.

La storia è narrata attraverso due punti di vista, quello di Giorgio, ormai prossimo alla morte, che rivive il ricordo di quella storia d’amore che ha stravolto il suo destino, e quello di Bianca, diario intimo relegato alla parte finale di questo voluminoso romanzo.
Due punti di vista che, pur convergendo nel comune sentimento d’amore, si dimostrano lontani: Giorgio, l’ignavo, l’uomo che si lascia vivere, che non riesce a prendere posizione, a schierarsi, a lottare e a imporsi (se non quando ormai è troppo tardi) e Bianca, la suffragetta che, innamorata, si mette in gioco pur sapendo di non poter vincere.

Il linguaggio è ricercato e sempre calibrato sull’epoca di ambientazione (Carolina Invernizio non potrebbe protestare!); anche i frequenti dispacci giornalistici, che, interrompendo la narrazione, ci portano dentro la notizia e al centro delle traversie politiche del governo Giolitti, sono resi con la giusta dose di retorica e ampollosità, oltre che frutto di un’approfondita ricerca storica (stesso discorso vale per la carrellata di rimedi farmacologici “miracolosi” della cui pubblicità è vittima maman, la sdegnosa mamma di Giorgio o delle innovazioni in fatto di acconciature e abiti esibiti dalla giovane Stefania o dalle altre fanciulle della borghesia romana)
Questi elementi, però, lasciano troppo spesso, la sensazione di esercizio di stile e sfoggio di erudizione, freno a mano tirato sulla fluidità della narrazione e sulla capacità di tenere il lettore avvinto: tanti, troppi particolari che contribuiscono a rendere la lettura…barocca.

MAGGIOR PREGIO: la minuziosa ricerca storica, capace di offrirci uno scorcio degli umori, delle tensioni e dei cambiamenti politici, economici e sociali dell’Italia di più di un secolo fa.

PEGGIOR DIFETTO:  qui mi sfilo la scarpa e lascio cadere quel sassolino fastidioso…
“Sapevo che capannelli di compagni della Gioventù Socialista, anarchici, rivoluzionari e sindacalisti, cercavano di controinformare l’opinione pubblica, distribuendo qua e là per la città volantini e fanzine […]”: è vero che sono le memorie di un uomo che è riuscito a vivere fino agli anni ’60, ma non si tratta di una narrazione retrospettiva, quanto di un vero e proprio rivivere quei momenti, pertanto, sebbene nella forma le fanzine  fossero già diffuse sul finire del ‘700, il lemma che le designa fa la sua comparsa solo negli anni ’40 negli Stati Uniti: mi pare arduo che Giorgio, nel 1911, potesse usare tale termine…

Insomma, un romanzo che mi ha lasciata…piacevolmente dispiaciuta!


mercoledì 27 marzo 2019

7 KM DA GERUSALEMME di Pino Farinotti


Alessandro Forte, professione pubblicitario: all'età di 43 anni il suo mondo pare non avere più alcun senso, la moglie lo lascia tenendo la figlia con sé, il lavoro perde colpi fino a restare solo un'aspirazione lontana, la vita si trascina tra il banco dei pegni e i panni sporchi.
Per una serie di coincidenze, vince un viaggio a Gerusalemme, un viaggio nel mistero e nel fascino della Terra Santa.
Sulla strada per Emmaus, a 7 chilometri da Gerusalemme, incontra un uomo, la perfetta rappresentazione iconografica del Cristo, che gli si presenta, appunto, come Gesù.
Infastidito da questo artista di strada, Alessandro cerca di allontanarlo, ma questo insiste e tra i due nasce un rapporto.
Ogni giorno Alessandro lascia il suo albergo e s'incammina per la strada polverosa per incontrare quel tipo strambo, che gli dice cose che non dovrebbe conoscere, che parla della Palestina di 20 secoli prima. Un tipo interessante, spiritoso, moderno.
Tra loro, persistente, una domanda: "Chi sei?"
Quel Gesù parla di alcuni personaggi che Alessandro ha incrociato nella sua vita, persone del tutto normali, ma rappresentative di sentimenti e di azioni fondamentali: la generosità, la violenza, la tolleranza, le differenze.
Proprio la normalità dei dialoghi riesce a far emergere le verità più grandi, quelle che danno maggiore ansia agli uomini.
Gli incontri tra i due si ripetono, si capiscono sempre di più e quel Gesù appare sempre più umano tanto che i loro dialoghi diventano spesso ironici e divertenti: ma tutto ciò è reale o è un delirio dovuto allo stato psicofisico del protagonista?
Un crescendo di ricordi ed esperienze rimosse, dolori e piccole gioie riaccendono l'interesse di Alessandro per la vita.
Al momento del commiato, per la prima volta, i due si toccano in un caldo abbraccio, in un arrivederci indefinito che fa emozionare entrambi.
Al ritorno in patria la vita riprende con nuovo slancio e con la riconquista delle piccole grandi cose perdute, col sospetto che tutto fosse solo un sogno o un'allucinazione, anche se alla fine, un segno, un miracolo, socchiude la porta del dubbio.

Un libro che non dà risposte, proprio come Gesù, ma lascia che ognuno di noi le trovi dentro di sè, quasi un Marzullo su carta stampata che esorta il lettore a farsi una domanda e a darsi una risposta.
Una lettura ironica e spietata della realtà in cui viviamo e che ci permea in profondità, che cela, dietro luoghi comuni e maschere stereotipate, emozioni, sentimenti e desideri, talvolta in netto contrasto con la lettura superficiale dell'altro che ognuno di noi è in grado di fare.
Tra continui flashback di una vita passata tra carriera, successo, cinismo e una certa dose di altruismo, Alessandro, con la freddezza e la capacità di sintesi del pubblicitario, traccia, con rapide inquadrature cinematografiche, i principali stereotipi umani della nostra società e analizza quell'uomo che, duemila anni fa, è stato il pubblicitario di se stesso, il migliore mai esistito. Un pubblicitario divino.

lunedì 25 marzo 2019

VINPEEL DEGLI ORIZZONTI di Peppe Millanta




BENVENUTI A DINTERBILD recita il cartello sbiadito all’ingresso del paese. 
Ma nessuno arriva a Dinterbild dalla strada di accesso e nessuno percorre la via che lascia il paese per andare alla ricerca dell’Altrove.
Nessuno tranne i visionari, come Krisheb, il matto, e  Vinpeel, un ragazzino che teme l’arrivo dei cavalieri dell’Apocalisse e parla nelle conchiglie con la speranza che il padre, incapace di dialogare con lui, un giorno possa ascoltare le sue parole.
Vinpeel dopo aver visto una luce al di là del mare, segno che esiste un Altrove, un mondo da scoprire, cercherà, insieme a Krisheb, Doan e Mune, di raggiungerlo camminando sulle acque (le sacre scritture, in fondo, non contengono forse la verità?), tentando di prosciugare il mare e costruendo una mongolfiera con le tovaglie rubate alla Locanba (e no, quella B non è un errore!) Biton.
Con loro conosceremo molti degli strampalati abitanti di questo villaggio, come Padre Earl, il pittore Del, che non parla perché le parole, messe bene in ordine nella sua testa, escono dalla bocca inciampandosi una nell’altra, il dottor Fros, medico del paese, in quanto un tempo aveva lavorato alla mensa dell’ospedale, lady Sawen, la donna più bella del paese, la signora Witt, Selmer, Mune e tanti altri.

Una storia che richiama prepotentemente alla mente il migliore Neil Gaiman, quello di Stardust, per intenderci, con la costruzione di una realtà fantastica e surreale, ma oltremodo poetica.
E  così Dinterbild diventa quel non luogo dove ognuno di noi si perde nella ripetitività dei gesti e delle parole, un loop in cui ci immergiamo quando ci lasciamo vincere dai ricordi e dai rimpianti.

Una storia la cui originalità è rimarcata dalla formattazione del testo, capace di conferire una connotazione visiva a elementi sensoriali, sentimenti ed emozioni, che si arricchiscono, queste ultime, delle originali definizioni, frutto di una rilettura infantile e priva di orpelli, che Vinpeel utilizza per spiegarle a Mune.

"Gioia
È quella cosa che non c’è tempo di spiegare, 
Perché non ne va sprecato un solo istante."

Altro fattore di pregio è l’aggiunta on line di brevi racconti che ci fanno conoscere meglio gli antefatti che riguardano alcuni personaggi, come padre Earl, Krisheb, Del e Gustav. 
Un romanzo bellissimo, che costringe il lettore a una netta sospensione dell’incredulità per immergersi in un mondo fantastico e visionario.







PEPPE MILLANTA inizia il camminino della sua vita adulta seguendo una strada che non gli appartiene.
Senza aspettare di trovare un semaforo, cambia strada e si avvia lungo viottoli nascosti e poco battuti, per approdare in un paese magico, che è quello in cui gli artisti esprimono se stessi (la sua biografia era troppo lunga per "rubarla" dal suo sito ufficiale!)

martedì 19 marzo 2019

LA SQUILLO E IL DELITTO DI LAMBRATE di Dario Crapanzano


Milano anni '50.
Margherita Grande è una bella ragazza che, orfana dei genitori, provvede al sostentamento dei due fratelli e della nonna col suo lavoro di cameriera nella Trattoria Del Sole, fino al giorno in cui un'elegante signora le propone un'occupazione molto più redditizia...
Ed è così che diventa una squillo per un'elegante casa di appuntamenti. Una squillo molto apprezzata. 
La drastica impennata nei suoi introiti, però, non la allontana dagli amici di sempre, tanto che, quando Ines, la sua migliore amica viene arrestata per l'omicidio del fidanzato, piccolo boss della ligera milanese, Margherita, per sopperire alle indagini superficiali condotte dalla polizia, si improvvisa investigatrice. E questo ruolo, grazie alla sua passione per i romanzi gialli, le calza a pennello, portandola, un po' Dupin e un po' Maigret, con acume deduttivo alla risoluzione del caso.
Uno spaccato della Milano del dopoguerra, alle prese con la ricostruzione materiale e morale, resa in maniera molto efficace, con uno stile narrativo che ricorda le detective stories della prima metà del secolo scorso.

ERAVAMO TUTTI VIVI Di Claudia Grendene




“ERAVAMO TUTTI VIVI” recita il titolo, e il succo del romanzo sta proprio in quel verbo: “ERAVAMO”. 
Già , perché negli anni dell’università Chiara, Anita, Max, Agnese, Alberto, Isabella ed Elia erano tutti vivi: amavano senza schemi, vivevano senza freni, avevano ideali politici e sociali senza disincanto e trasgredivano senza paura.
Poi, il passare degli anni e le vicende della vita li hanno portati a morire un po’ giorno dopo giorno, diventando sempre più simili a quei genitori da cui avevano tentato di affrancarsi.
E la morte di Max li pone di fronte ai loro fallimenti e disillusioni, innescando un viaggio a ritroso alla ricerca di quel momento in cui non si erano limitati a sopravvivere.

Romanzo ben scritto, dalla struttura originale, in quanto narrato a ritroso. La narrazione  non è imperniata su un unico punto di vista, ma di volta in volta cambia, lasciando emergere i singoli personaggi che sono individui a tutto tondo, i cui sogni sono destinati a infrangersi contro la banalità della vita quotidiana e in cui il lettore può identificarsi, in particolare se appartiene alla generazione dei protagonisti. 

Libro interessante, consigliato ai quarantenni in vena di amarcord!

venerdì 15 marzo 2019

QUELLO CHE NON SONO MI ASSOMIGLIA di Gianluca Giraudo



Un romanzo sulla solitudine e sul ruolo del processo di proiezione e identificazione nel nostro rapportarci con l’altro.
Una storia che pare una sequenza di stanze comunicanti e chiuse in un circolo vizioso, che solo Ignacio, il protagonista, proverà a spezzare con una scelta drastica e inattesa.
I personaggi entrano in contatto tra loro, con amici, famigliari e colleghi di lavoro di cui ognuno vanta una buona conoscenza, che, però, si rivela errata, o meglio opinabile, frutto di un’interpretazione personale e soggettiva di gesti e comportamenti.
Viviamo una vita, ma da essa gemmano decine di altre esistenze e personalità, a seconda dello sguardo di chi interagisce con noi.
Una prova interessante e originale, suddivisa in capitoli brevi, ognuno dedicato a un singolo personaggio che ci parla in prima persona, fornendo quindi un punto di vista sempre soggettivo e relativo:

“Non esiste mai solo una storia, una versione ufficiale dei fatti. Una persona non è mai solo una persona”

MAGGIOR PREGIO: la capacità di immergere il lettore nella relatività del reale.

PEGGIOR DIFETTO: in alcuni passaggi la narrazione appare “rigida”, controllata, leggermente artificiosa.











GIANLUCA GIRAUDO (dalla pagina dell'editore) è nato a Cuneo nel 1990. Vive e lavora a Roma. suoi articoli sono apparsi sul Mucchio Selvaggio, Minima&Moralia e Nazione Indiana. Ha un blog personale che ospita articoli e piccoli racconti: posticci.wordpress.com.
Questo è il suo primo romanzo.

lunedì 11 marzo 2019

FIORI SOPRA L’INFERNO di Ilaria Tuti




Chi ama il thriller non potrà non ritrovare in questo bel romanzo molti riferimenti cinematografici e letterari: il cattivo, il criminale che scatena la lotta della polizia contro il tempo, ricorda, per il modo di infierire sulle vittime, il John Doe di Seven di David Fincher, 
SEVEN di David Fincer (scena finale)

le indagini si sviluppano sulla base del profiling attuato dal commissario Battaglia, un mix delle menti di Jason Gideon 
e Jethro Gibbs, ma col fisico di Hetty, 


JASON GIDEON (Criminal Minds)










JETHRO GIBBS (NCIS)


HENRIETTA (HETTY) LANGE (NCIS Los Angeles)









mentre i dubbi e le domande sulla malvagità del serial killer mi hanno riportato alla mente Pietà per gli insonni di Jeffery Deaver.
Insomma un romanzo tutt’altro che banale, decisamente credibile e ben strutturato: tutti i nodi vengono al pettine e ogni singolo tassello trova il proprio posto.
Molto approfondite le indagini psicologiche e particolarmente riuscita è la caratterizzazione dei personaggi, in particolare dei quattro bambini che si trovano al centro dell’azione, che, con il loro sodalizio amicale, ricordano molto da vicino il Club dei Perdenti di kinghiana memoria
da IT (1990) regia Tommy Lee Wallace

E in tutto questo ben di Dio trova posto anche la scenografia, il paesaggio montano del trentino, descritto con particolari visivi, olfattivi, tattili e uditivi, che ti catapultano in quei boschi, sotto quella neve e ti fanno ricercare un po’ di tepore nella birreria del paese.
Anche dal punto di vista stilistico il romanzo, pur essendo un thriller, quindi improntato all’azione, non perde mai la sostanza, e nonostante la truculenza di alcune scene, l’autrice non scade mai nello splatter, ma lascia intuire, immaginare.

Insomma, un romanzo da leggere tutto d’un fiato, coinvolgente e che ben si presta alla trasposizione cinematografica oltre che ad essere la prima di una lunga serie di indagini del commissario Teresa Battaglia, personaggio complesso e che ancora molto ha da disvelare di sé.

venerdì 8 marzo 2019

8 MARZO...




È per te, bambina e futura donna, che sai di non valere meno di tuo fratello o dei tuoi amici, hai sogni che non vanno chiusi in un cassetto e guardi con fiducia al futuro che ti attende.

È per te, giovane donna, che scegli quando spogliarti della tua infanzia senza permettere a nessuno di rubarla, nemmeno con un bacio, e non consentirai mai a qualcuno di trattare il tuo corpo come una proprietà.

È per te, donna lavoratrice, che non accordi a nessuno la facoltà di decidere per la tua carriera e lotti per vedere riconosciuti i tuoi meriti, il tuo valore.

È per te, casalinga, perché questa è una tua scelta, non una naturale vocazione o un ruolo predeterminato, una scelta a cui non consenti di uccidere i tuoi sogni e le tue passioni.

È per te che sei mamma e cresci i tuoi figli e le tue figlie insegnando loro il rispetto, la collaborazione e l’empatia.

È per te, che i figli non li hai, per scelta o per destino, perché  fare un figlio non è un dovere e nemmeno un segno di completezza.
                                                                
È per te, donna matura, che, con la tua esperienza, insegni a chi è più giovane il valore della solidarietà, della comprensione e dell’aiuto reciproco e sei testimone di come le battaglie producano piccole e grandi vittorie.

È per te, donna, chiunque tu sia e ovunque tu sia, per te che non  permetti a nessuno di redigere la tua storia digitando sulla tastiera della vita, ma la scrivi tu, con la penna nella mano e la tua, a volte incomprensibile, calligrafia.

(Patty Barale)

lunedì 4 marzo 2019

LA BAMBINA FALENA di Luca Bertolotti



Una bambina sulla riva del mare: 13 chilogrammi, braccia magrissime, ernia ombelicale e un vocabolario stentato. 
Dice di essere arrivata dal bosco.
Inizia così la storia di Greta, una bambina che cresce con un grande buco nero nel passato, un campo gravitazionale che, poco a poco, la risucchia nella ricerca di risposte.
E, novella Gretel, si avventurerà in quel bosco oscuro oltre il quale troverà la sua strega cattiva, ella stessa prigioniera della casa di marzapane.

Versione moderna della fiaba dei fratelli Grimm, “La bambina falena” si snoda su due piani narrativi, il passato e il presente destinati a confluire per scorrere insieme verso il futuro: IL PRESENTE, la storia di Greta, è narrata in prima persona da un narratore interno dallo stile fresco e ironico, mentre un narratore esterno, cinico e disincantato, racconta IL PASSATO, le vicende accadute negli anni ‘70 che, come una pallina sul piano inclinato di menti disturbate, hanno portato alla nascita di questa trovatella.

POLLICE SU per...

il sapiente utilizzo delle metafore insite nella fiaba dei fratelli Grimm, con quel temuto attraversamento del bosco a rappresentare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e il soggiorno nella casa della strega quale momento di maturazione e ribellione adolescenziale a regole e limiti imposti da genitori protettivi e con molti segreti da tener chiusi in armadi blindati.
Una crescita, una emancipazione, che ha bisogno di un aiuto esterno, quello dell’anatra bianca, che qui prende le sembianze di Sissi, a cui la sindrome di Ehlers-Danlos, ha donato una pelle iper-estensibile, tanto da poter creare un paio di ali, quelle della bambina falena, che condurrà Greta oltre il prato della casa di marzapane e nell’età adulta.

POLLICE VERSO per...

l’eccessivo tono didascalico di alcuni passaggi, un’infodump su fatti di attualità e leggende metropolitane, che estraniano il lettore dalla storia, facendogli perdere il contatto con la magia della fiaba.



martedì 26 febbraio 2019

STIAMO TUTTI BENE di Giulia Gianni



Questa è la storia di un nano… sì, insomma, non un nano nano, ma un bambino, avvistato per la prima volta all’ombra di un albero su un’isola spagnola: un neonato paffuto e sorridente in attesa di essere messo al mondo.
Ma si sa, decidere di fare un figlio non è certo impresa da poco, soprattutto se ci  si sofferma a pensare alla società in cui dovrà vivere, al mondo gretto e meschino che lo accoglierà, alle difficoltà che incontrerà lungo il cammino.
Figurarsi se, per problemi biologici, anche il suo concepimento deve essere organizzato nei minimi particolari!
Già, perché i suoi neogenitori si ritrovano ad affrontare il problema della fecondazione in vitro con tanto di trasferte a Copenhagen e Alicante per potergli finalmente permettere di sbarcare in questo nostro mondo.
E Giulia, protagonista e voce narrante di questo romanzo divertente e ironico, ci  porta nel “magico” mondo della gravidanza, in un marasma di paure e ormoni ballerini, in un poutpurrì di amici, medici, ostetriche, mamme pancine, in quello “stato interessante”, che forse è tale proprio per le paranoie che è in grado di scatenare…

Insomma, in principio era Giulia e la sua vita di coppia appagante e consolidata,  in lei giunse la vita, si fece carne… e iniziò la Grande Avventura!

Una storia autobiografica che Giulia Gianni aveva già condiviso sul suo blog e che poi è diventata questo romanzo in cui dolcezza e poesia sono sapientemente stemperate da un’ironia e un umorismo scoppiettante, capace di far commuovere mentre si ride di gusto al ricordo della propria gravidanza o al pensiero di quello scampato pericolo.
Ma soprattutto questo romanzo ci porta a riflettere su temi importanti, che riguardano la procreazione assistita, le difficoltà che ancora accompagnano, nel nostro paese, la fecondazione eterologa, la necessità di muoversi da soli per trovare una soluzione all’estero, le spese e i mille problemi e preconcetti che si associano a tale scelta, spesso unica possibilità di avere un figlio.
E di pregiudizi Giulia e la sua dolce metà ne devono affrontare tanti, perché sono due donne, due mamme per quel nano tanto desiderato e amato dal momento in cui l’idea di lui ha fatto capolino nella loro vita…

MAGGIOR PREGIO: i personaggi, reali e immaginari, scivolano dalle righe del libro e ti si piazzano accanto, proprio lì sul divano e, all’improvviso, ti accorgi che sono persone che fanno parte della tua cerchia di amici e conoscenti e ti ritrovi la loro voce nelle orecchie ogni volta che, nel libro, aprono bocca!

PEGGIOR DIFETTO: dovrei forse dire che lo stile è un po’ troppo da blog e non tanto da romanzo? Beh, non lo dico, perché non credo che l’intento dell’autrice fosse di emulare il Sommo Poeta, quanto di condividere un’esperienza e dare una spallata ai pregiudizi…(chissà se vedremo mai una Sentinella in piedi con questo libro tra le mani!)


GIULIA GIANNI: (dal blog stiamotuttibene.com) Mi chiamo Giulia. Ho due gatti, una Fiesta del 2000 e una bellissima famiglia che lo Stato si ostina a non voler riconoscere. 

lunedì 18 febbraio 2019

NOI, BAMBINE AD AUSCHWITZ di Andra e Tatiana Bucci




Come è possibile, a soli 4 e 6 anni di età, sopravvivere al freddo e alla fame di Auschwitz, scampare alle “cure” di Mengele (anche se ci si somiglia così tanto da poter essere scambiate per gemelle), essere separate dalla propria mamma, veder andare incontro alla morte i propri familiari e ritrovarsi a giocare in mezzo a “piramidi di cadaveri”? Ce lo raccontano Andra e Tatiana Bucci dando voce a quelle bambine dall’infanzia rubata che ancora vivono dentro di loro e che, dopo la tragedia dei campi di concentramento nazisti, hanno dovuto sperimentare la solitudine nell’orfanotrofio e che solo con il lavoro e la dedizione di Anna Freud e dei suoi collaboratori a Lingfield House, in Gran Bretagna, sono riuscite a riconquistare la possibilità di una vita normale. Un libro su uno dei periodi più oscuri della nostra storia che ci offre un’ottica diversa, quella dei bambini che sulla loro pelle hanno vissuto la crudeltà disumana di chi, dall’alto della propria presunta supremazia, ha usato il resto dell’umanità alla stregua di balocchi senza valore. Un pugno nello stomaco e un valido spunto di riflessione.




venerdì 15 febbraio 2019

LA NIPOTE DEL SIGNOR LINH di Philippe Claudel




"È un vecchio in piedi a poppa di una nave. Stringe tra le braccia una valigia leggera e un neonato, ancor più leggero della valigia. Il vecchio si chiama signor Lihn. È il solo a sapere il suo nome perché tutti coloro che lo sapevano gli sono morti intorno."

Ha perso tutto, il signor Linh.
Il suo villaggio non esiste più.
La sua famiglia non esiste più: la bomba esplosa nella risaia ha ucciso suo figlio e sua nuora. Solo Sang diu, la nipotina appena nata, è rimasta a legarlo al passato e a spingerlo a cercare un futuro da profugo, lontano dal suo amato Vietnam.
Un futuro che parla una lingua incomprensibile e percorre i marciapiedi di una cittadina costiera della Francia.
Vorrebbe lasciarsi andare, il signor Linh, ma i grandi occhi neri di quella bambina, che non piange mai, gli danno la forza di andare avanti, di lottare, di credere di avere ancora un domani.
Un domani che ha il sapore della casualità, le dita ingiallite dalle sigarette e gli occhi tristi del signor Bark. Un incontro che va al di là delle parole e delle convenzioni, da cui nasce e cresce un’amicizia che porta con sé un refolo di speranza.

Il mondo occidentale, con i suoi ritmi affrettati, le sue corse e la sua indifferenza, è lo sfondo su cui si stagliano le pennellate delicate della vita perduta di quest'anziano vietnamita, fatta di risaie, strade sterrate e facce amiche. Un triste sguardo sul nostro mondo, che ha perso la capacità di godere delle piccole cose, ma anche un’accusa alle strutture assistenziali, preoccupate solo di trovare una sistemazione materiale ai loro assistiti, senza curarsi del loro benessere psicologico e sociale.

Ma, soprattutto, questo è un romanzo  sensoriale: suoni, odori e colori danno emozioni più forti e profonde di quanto possa fare la parola, senza ambiguità o freddi intellettualismi.
Una narrazione  sussurrata e poetica che conquista ed emoziona dalla prima all’ultima pagina








PHILIPPE CLAUDEL è uno scrittore, accademico, saggista, regista e sceneggiatore francese



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