lunedì 1 aprile 2019

L'OSCURA ALLEGREZZA di Manuela Diliberto



L’OSCURA ALLEGREZZA o il trionfo dell’ossimoro.

Fin dal titolo questo romanzo ostenta contraddizioni: Giorgio Kreifenberg, un giovane e ricco borghese, di professione giornalista, assiduo frequentatore della piccola nobiltà romana e amante della bella vita (a scapito della devota fidanzata Maria Stefania) è convinto di essere un socialista.
Bianca D’Ambrosio, femminista militante e giornalista, donna risoluta e non incline al compromesso, vacilla al percepire la sua vita consumarsi a ogni respiro.
Il loro incontro, sullo sfondo della Storia che consegnerà l’Italia alla guerra italo-turca, porterà a un ulteriore ossimoro, un ricercarsi fuggendo dall’epilogo melodrammatico.

La storia è narrata attraverso due punti di vista, quello di Giorgio, ormai prossimo alla morte, che rivive il ricordo di quella storia d’amore che ha stravolto il suo destino, e quello di Bianca, diario intimo relegato alla parte finale di questo voluminoso romanzo.
Due punti di vista che, pur convergendo nel comune sentimento d’amore, si dimostrano lontani: Giorgio, l’ignavo, l’uomo che si lascia vivere, che non riesce a prendere posizione, a schierarsi, a lottare e a imporsi (se non quando ormai è troppo tardi) e Bianca, la suffragetta che, innamorata, si mette in gioco pur sapendo di non poter vincere.

Il linguaggio è ricercato e sempre calibrato sull’epoca di ambientazione (Carolina Invernizio non potrebbe protestare!); anche i frequenti dispacci giornalistici, che, interrompendo la narrazione, ci portano dentro la notizia e al centro delle traversie politiche del governo Giolitti, sono resi con la giusta dose di retorica e ampollosità, oltre che frutto di un’approfondita ricerca storica (stesso discorso vale per la carrellata di rimedi farmacologici “miracolosi” della cui pubblicità è vittima maman, la sdegnosa mamma di Giorgio o delle innovazioni in fatto di acconciature e abiti esibiti dalla giovane Stefania o dalle altre fanciulle della borghesia romana)
Questi elementi, però, lasciano troppo spesso, la sensazione di esercizio di stile e sfoggio di erudizione, freno a mano tirato sulla fluidità della narrazione e sulla capacità di tenere il lettore avvinto: tanti, troppi particolari che contribuiscono a rendere la lettura…barocca.

MAGGIOR PREGIO: la minuziosa ricerca storica, capace di offrirci uno scorcio degli umori, delle tensioni e dei cambiamenti politici, economici e sociali dell’Italia di più di un secolo fa.

PEGGIOR DIFETTO:  qui mi sfilo la scarpa e lascio cadere quel sassolino fastidioso…
“Sapevo che capannelli di compagni della Gioventù Socialista, anarchici, rivoluzionari e sindacalisti, cercavano di controinformare l’opinione pubblica, distribuendo qua e là per la città volantini e fanzine […]”: è vero che sono le memorie di un uomo che è riuscito a vivere fino agli anni ’60, ma non si tratta di una narrazione retrospettiva, quanto di un vero e proprio rivivere quei momenti, pertanto, sebbene nella forma le fanzine  fossero già diffuse sul finire del ‘700, il lemma che le designa fa la sua comparsa solo negli anni ’40 negli Stati Uniti: mi pare arduo che Giorgio, nel 1911, potesse usare tale termine…

Insomma, un romanzo che mi ha lasciata…piacevolmente dispiaciuta!


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